La quarta sezione penale della Corte di Cassazione, ha annullato senza rinvio “perchè il fatto non sussiste”, assolvendo così con formula piena dall’accusa di omicidio colposo, la sentenza a carico dell’imprenditore salentino Sergio Adelchi, condannato – con una doppia “conforme” in primo grado e in appello – per la morte dell’ingegnere lombardo, Lisa Picozzi, dipendente di una società milanese, deceduta il 29 settembre del 2010 dopo essere precipitata dal tetto di un capannone.
I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso proposto dal difensore dell’imprenditore, l’avv. Francesco Paolo Sisto (studio FPS) – che informa con una nota dell’avvenuta decisione – la cui tesi «escludeva ogni responsabilità del suo assistito in ordine all’incidente di cui fu vittima la sfortunata dipendente di una ditta che si occupa di impianti fotovoltaici, interessata ad acquisire in concessione il soffitto del capannone – fermo da tempo e in disuso – di proprietà di una azienda di cui era socio Sergio Adelchi».
«L’imprenditore Adelchi Sergio ha sempre dichiarato la sua estraneità ai fatti, tuttavia in questi 10 anni ha dovuto subire le conseguenze di un lungo iter giudiziario culminato ora con la decisione inequivocabile della Cassazione che sancisce l’assoluzione con la formula “perchè il fatto non sussiste”».
L’imprenditore Adelchi Sergio, a fronte di una iniziale richiesta di archiviazione da parte del pm, era stato oggetto di una imputazione coatta per omicidio colposo, cui aveva fatto seguito una condanna in primo grado il 17.11.2014 a due anni di reclusione, pena poi ridotta in appello a un anno con sentenza del 21.01.2019.
In quella occasione, i giudici di secondo grado -pur confermando sia pure ridimensionata la posizione di Adelchi Sergio – fecero riferimento al datore di lavoro della defunta manifestando dubbi sulla sentenza di primo grado «per avere escluso la responsabilità dello… omissis…, quale datore di lavoro della Picozzi, avendo consentito che un suo dipendente salisse su un tetto di un capannone industriale in condizioni non di assoluta sicurezza».
Parimenti, la sentenza di appello mosse un «rimprovero di imprudenza alla sfortunata giovane professionista nell’esserci cimentata in una iniziativa (salita sul capannone) che, sebbene preannunciata, poteva rivelarsi fonte di insidie…».
Fonte notizia: La Gazzetta del Mezzogiorno