SALENTO – Strana storia quella che ha coinvolto un contribuente salentino che si è ritrovato “evasore a sua insaputa”. Ma andiamo con ordine.
Tutto ha inizio lo scorso anno quando il contribuente riceveva una cartella esattoriale con una richiesta di tributi per svariate migliaia di euro motivata dal fatto che il pagamento telematico delle imposte (cosiddetto pagamento “F24”) sarebbe avvenuto attraverso un credito d’imposta fittizio.
Il contribuente a questo punto chiedeva – per il tramite del suo difensore, l’Avvocato tributarista Matteo Sances – di poter visionare tale ricevuta telematica e apprendeva che un terzo aveva fraudolentemente depositato tale pagamento presso le Poste indicando fittiziamente un operazione di compensazione di imposte tra un credito d’imposta inesistente e un debito d’imposta altrettanto inesistente.
Scattava dunque un procedimento penale su denuncia del contribuente e contemporaneamente quest’ultimo provvedeva a spiegare la sua totale estraneità ai fatti.
Come precisato dall’Avv. Sances “La spiegazione fornita dal contribuente era di una trasparenza e semplicità elementare ma ciò non gli evitato di ritrovarsi in un vero e proprio girone dantesco. In pratica, il contribuente esibiva prontamente all’Ufficio delle imposte le dichiarazioni dei redditi e le ricevute dal quale emergeva di pagamento integrale dei tributi dovuti. A questo veniva chiesto all’Agenzia delle Entrate di prendere atto che nulla poteva essere chiesto al contribuente in quanto era evidente che se un credito d’imposta inesistente veniva compensato con un debito d’imposta altrettanto inesistente non vi era stata alcuna evasione (e tutto ciò indipendentemente dal fatto che tale F24 fosse stato depositato da un terzo in malafede). Di tutta risposta l’Agenzia delle Entrate confermava la cancellazione del tributo ma IMMOTIVATAMENTE continuava a pretendere il pagamento dei tributi. Nonostante, dunque, i numerosi incontri presso l’Ufficio delle imposte e le numerose istanze bonarie, al contribuente non rimaneva altra strada che agire con un’azione legale impugnando le pretese tributarie”.
I Giudici tributari, quindi, esaminati i fatti di causa accoglievano il ricorso proposto.
Il Collegio, infatti, evidenziava l’evidente illogicità dell’operazione operata dal FISCO di compensare un credito d’imposta inesistente con debiti d’imposta altrettanto inesistenti sulla base, tra l’altro, di un modello di pagamento F24 la cui effettiva riconducibilità al contribuente non era stata neanche provata dall’Agenzia delle Entrate.
In altre parole, il FISCO disconosceva (GIUSTAMENTE) la veridicità della dichiarazione, presentata da ignoti, nella parte in cui indicava il presunto credito d’imposta ma non faceva altrettanto in merito alla parte in cui veniva riportato il presunto debito d’imposta.
Come sopra detto, tale comportamento palesemente contraddittorio è stato prontamente colto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce che, con sentenza n.113/03/19, depositata il 22 gennaio 2019, ha espressamente affermato che:“…l’evidente illogicità di compensare un credito d’imposta inesistente con debiti d’imposta altrettanto inesistenti, induce il Collegio a ritenere che anche il recupero a titolo di IRAP, relativamente all’anno d’imposta 2014, non corrisponda ad alcun reale debito Irap per quell’anno, essendo palese che l’Ufficio abbia fondato il recupero in questione esclusivamente sulla base dell’inesistenza del credito d’imposta indicato nel Modello F24 la cui effettiva riconducibilità all’odierno ricorrente non può ritenersi provata”.
Analizzando la disavventura di questo contribuente si ha, dunque, l’impressione che la questione si sarebbe potuta risolvere molto prima e magari con un miglior dialogo tra Fisco e contribuente.