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PALAZZO COMI – UN CAFFE’ A PALAZZO?

di Alessandro Distante. www.ilvolantinoditricase.it

Il dibattito che si è acceso sulla vicenda di Palazzo Comi ruota sulla seguente domanda di fondo: è possibile che un luogo simbolo della cultura sia affidato a privati che, per far quadrare i conti, affiancheranno ai libri e alle poesie bar e caffetteria?

La questione è centrale e va molto al di là di Palazzo Comi, così come molto al di là di Palazzo Comi andavano le mie riflessioni su “Le vie di fatto”, e cioè su iniziative che privilegiano le scorciatoie dei gesti eclatanti e mediaticamente forti piuttosto che le vie del confronto politico ed istituzionale.

Il museo e la biblioteca per essere attrattivi, lo si voglia o no, devono divenire luoghi anche piacevoli e confortevoli ed il loro fascino non viene certo sminuito se il visitatore, oltre a conoscere i luoghi della cultura e leggere i libri o ascoltare una conferenza, può anche consumare un caffè al loro interno. I caffè letterari, del resto, hanno costituito una esperienza bella e positiva come lo stanno diventando oggi i nuovi book bar.

E qui veniamo ad una seconda questione: un Ente Locale (sia esso Provincia o Comune) ha la capacità di intervenire per rendere bello ed efficiente un luogo come un museo o una biblioteca e mantenerlo attrattivo con servizi anche diversi e lontani dalla lettura o dalla visita guidata?

Il dubbio sorge spontaneo, perché stiamo parlando di Enti che non hanno risorse neppure per mantenere servizi anche socialmente più urgenti e che non hanno soldi neppure per riscaldare le scuole superiori.

E ciò non per colpa loro, ma di una politica della fiscalità locale fortemente penalizzante e, ancora una volta, frutto di quella demagogia attenta soltanto al consenso che, ad esempio, toglie le tasse sulle case e priva così i Comuni della possibilità di garantire servizi essenziali.

Ed il dubbio cresce se pensiamo che alcuni servizi sociali, e non anche alcuni beni immobili, sono stati affidati da tempo a privati. Per non andare molto lontano: il Comune di Tricase ha affidato a privati la gestione dell’Asilo Nido comunale; ha dato in concessione a privati la gestione del Palazzetto dello Sport, del campo sportivo di via Matine e di Depressa e tra poco anche quello nuovo di Lucugnano; da anni la piscina comunale, in cambio del suo completamento, è data in gestione ad una Società privata; ed è stato sempre il Comune ad aver avviato una collaborazione con privati per la gestione di alcuni servizi come quello a sostegno dell’agricoltura e del turismo.

Tutte scelte che sono state conseguenza della impossibilità di avere risorse e professionalità sufficienti. Ovviamente in tutti questi casi non vi sono state critiche di sorta, tutti ben consapevoli che la privatizzazione o la esternalizzazione era l’unico modo perché determinati servizi potessero sopravvivere.

Si può tuttavia obiettare che la questione è ben diversa se ad essere oggetto di affidamento a privati è un bene culturale. Ma anche qui i precedenti non mancano: basti pensare, a Tricase, alla Chiesa dei Diavoli, oppure, a Roma, all’intervento sul Colosseo da parte del patron di Tod’s con in cambio i diritti di sfruttamento in esclusiva anche degli ingressi. Ed in questi giorni un’altra Casa, quella del Manzoni, è stata riaperta grazie al finanziamento di una Banca.

Un museo o una biblioteca, in un periodo nel quale non ci sono risorse pubbliche sufficienti, deve necessariamente far quadrare i conti.

Ed allora: pensare ad una caffetteria, ad un ristorante o ad un punto vendita di prodotti locali all’interno o accanto ad un museo o ad una biblioteca ed affidarlo a privati è proprio un’eresia o addirittura una bestemmia o è un prezzo da pagare per mantenere e far crescere anche il bene culturale?

Mi pare questo il tema del dibattito, oltre a quello sulla storia di Palazzo Comi, sul suo ruolo di contenitore culturale e sulla grandezza o meno del Poeta.

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